mercoledì 23 maggio 2012

La Monella

È sempre piacevole vedere un paziente andarsene sulle sue gambe. Ovvio, i medici non hanno la bacchetta magica, ma assistere alla guarigione di qualcuno è un'ottima iniezione di autostima, anche se il tuo contributo si è limitato a prendere la pressione tutti i giorni ed annuire con aria saputa ai commenti dei veri medici.
Se poi il paziente in questione ti è arrivato con un piede nella fossa e l'altro su una saponetta, e se ne va in piedi e con il sorriso sulle labbra, allora ti senti come se non avessi altro da chiedere al mondo.


Oggi abbiamo avuto una dimissione di questo tipo, quindi direi che la giornata è stata veramente ottima. Sono così di buon umore che ve la voglio raccontare, anche perché sono sicura che questa signora mi mancherà molto. A favore del pubblico, la chiamerò la Monella.


La Monella è stata una bella tribolazione. Il soprannome che le ho dato (niente a che fare con i film di Tinto Brass, si tratta di una rispettabile vecchietta - giusto per chiarire!) già dovrebbe farvi capire il tipo di persona, ma per descrivervela meglio mi limiterò a dirvi che è una persona abituata a fare le cose a modo suo. Non che fosse arrogante o antipatica, niente di tutto ciò: nella prima settimana che è stata da noi mi ha ingozzato di canestrelli fino a farmi venire il diabete, ma non mi sono certo lamentata (poi il figlio ha smesso di portarglieli, con mio grande scorno). Semplicemente, ha quell'aria da furbetta che, mista a lusinghe e a gentilezze, ti obbliga a comportarti esattamente come vuole lei.
Per esempio, dopo la prima settimana di degenza (in cui aveva addosso tanti di quei tubi che sembrava un albero di Natale) ha cominciato a sentirsi meglio e a fare delle richieste, tra cui quella che le venisse tolto il catetere. Non so più quante volte mi sono seduta sul letto e le ho spiegato che, nelle sue condizioni, il catetere era una mano santa: lei annuiva e sorrideva, mi faceva una carezza, dopodiché aspettava che entrasse una delle colleghe e ricominciava con la solfa.


"Dottoress-ssa!" cominciava a cantilenare, come una filastrocca, con un sorriso allegro. "Quand'è che me lo togliete il catetere?"
Qualunque fosse la risposta (di solito una versione edulcorata di "Non adesso"), lei non smetteva di sorridere e scrollava la testa. "Ma io ci vado in bagno da sola, sa? Faccio tanta pipì!"
Se vedeva che non attaccava, dopo un po' metteva il broncio. "Guardi che un giorno o l'altro me lo tolgo da sola!"
A quel punto, non restava che stare al gioco. "Guardi che lo dico a suo figlio!"
"Mio figlio può andare a quel paese, come l'ho fatto vedrà che lo disfo! E poi, col catetere non riesco a camminare."
"Ma se l'ho vista camminare un minuto fa!"
"Ma mi sta scomodo, mi si impiccia da tutte le parti. Poi gli altri uomini mi vedono col tubo che esce e mi vergogno!"
"Ma che le importa degli altri uomini, alla sua età?"
"Alla mia età sono ancora in grado di metterli a posto, gli uomini!"


Altre volte, la prendeva la foga di andare a casa. Posso anche capirla, si sarà sentita così bene rispetto alle ultime settimane che le sembrava di essere rinata, ma la prudenza consigliava di tenerla in osservazione un altro po'. Peccato che...
"Dottoress-ssa! Quand'è che mi mandate a casa?"
Vi risparmio la solfa della spiegazione, tanto la risposta era sempre la stessa. "Ma io a casa ho la mia cagnolina che mi aspetta! Poi se non ci sono si sente sola e piange!"
"La cagnolina è con suo figlio, non si deve preoccupare..."
"E poi tra poco c'è il battesimo di mia nipote! Dovete mettermi in piedi, se no come faccio ad andarci?"
"Manca più di un mese al battesimo, vedrà che ce la fa..."
"E poi mio figlio ha detto che mi vuole mandare in una casa per fare la riabilitazione. Giuro che se ci prova mi butto giù dalla finestra! Anzi, butto lui giù dalla finestra!"


Un giorno siamo perfino riusciti ad ottenere un permesso straordinario dal primario per portare la cagnolina a salutare la Monella. Avreste dovuto vederla! Lacrime, baci, il cane che si impiccava col guinzaglio dalla gioia... Peccato che la caposala si è impuntata e l'ha fatta sloggiare dopo pochissimo. Da quel giorno, tutte le volte che la incontrava nel corridoio la Monella si esibiva in un repertorio di linguacce e gestacci da asilo nido, ma non si poteva sgridarla: gonfiava le guance, incrociava gli occhi e tirava fuori la lingua, e sinceramente avevo già il mio daffare a morsicarmi le guance per non scoppiarle a ridere in faccia.


Finalmente, oggi è tornata a casa sulle sue gambe, solo con l'aiuto del bastone. Quando l'ho incontrata nel corridoio per farle le congratulazioni, è scoppiata a piangere ed ha insistito per abbracciare e baciare tutti i dottori e le infermiere del reparto (tranne la caposala, ovviamente). Ha giurato che si sarebbe tenuta in contatto con il centro di riabilitazione, ma aveva in faccia la stessa espressione di un bambino che giura di non toccare più il vaso della Nutella... Beh, comunque le auguro di vivere fino a cent'anni senza tornare mai più in ospedale. Una come lei se lo merita.

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