venerdì 1 giugno 2012

'O terremoto

Mentre tutta Italia piange i morti dei recenti terremoti, che non avevano altra colpa che quella di essere molto sfortunati, voglio cercare di sdrammatizzare raccontandovi in poche righe le reazioni dei miei vecchietti alle recenti bizze del nostro pianeta. Sia chiaro che non intendo assolutamente paragonare le mie (dis)avventure quotidiane alla gravità di un evento così luttuoso e devastante: tutto quello che scriverò d'ora in poi, come sempre, va inteso solo e soltanto con ironia.


Premetto immediatamente, per tranquillizzarvi, che la zona dove vivo e lavoro non è, fortunatamente, una di quelle flagellate dal terremoto. Ciò nonostante, visto che non ci facciamo mancare niente, negli ultimi mesi anche dalle mie parti abbiamo ballato con una certa vivacità, anche se penso che i danni più gravi non abbiano oltrepassato la morte violenta della zuppiera di cristallo della nonna.
Nondimeno, 'o terremoto è sempre 'o terremoto.


Visto che le disgrazie non vengono mai da sole, il caso ha voluto che questi ultimi terremoti capitassero in un periodo abbastanza delicato nella vita del reparto in cui lavoro. Ora, non so bene come esprimere questo concetto con il tatto necessario, perciò vi fornirò una metafora poco elegante ma molto esplicativa: nell'ultimo paio di settimane, con la dimissione dei pazienti guariti ed il ricovero dei nuovi malati, il reparto aveva finito per assomigliare molto poco a un ospedale e molto di più alla gabbia delle scimmie dello zoo.
Non avete capito? Ok, ve la metto in un altro modo: ci sono mesi in cui il reparto fila come un orologio, tutti vanno d'accordo e i pazienti sono docili come agnellini. Ce ne sono altri, invece, in cui sembra che tutti i pazzi scatenati della provincia si siano dati appuntamento per farsi ricoverare da noi. Ecco, questo periodo è uno di questi ultimi.


Comunque, dicevamo, 'o terremoto. Il mio primo pensiero, quando ho visto il carrello delle cartelle cliniche che camminava per i fatti suoi, non ha riguardato, lo ammetto con un po' di vergogna, i miei poveri vecchietti. Ho invece fissato con un certo orrore fuori dalla finestra della sala medici, in giardino, dove il bombolone dell'azoto liquido da 4000 litri oscillava beato tra i raggi del sole. Ho pensato a quanto sarebbe stato ignobile farmi ritrovare dai soccorsi come una specie di gigantesca stalagmite, e dire che quella mattina non mi ero neanche pettinata bene. Poi la terra ha rallentato, il bombolone si è fermato e il mio cuore è ripartito.


Subito dopo, ovviamente, i pazienti. Per qualche secondo abbiamo sperato che non se ne fossero accorti... speranza vana, direte voi, ma solo perché non li conoscete: in quel momento, non sembrava un'idea così campata in aria.
Molto gentilmente, a scoppiare la nostra pavida illusione ci ha pensato subito la Squaw (di cui ho parlato qui), che ha cacciato un urlo come se la stessero scotennando. Il che, a ben pensarci, è in linea col suo soprannome.


Come se stessero aspettando il colpo dello starter, tutti gli altri vecchietti sono impazziti. Una, da che era seduta sulla carrozzella, s'è fatta prendere dalla foga di tornare a letto (non chiedetemi per quale motivo), dimenticandosi però di avere il sacchetto del catetere assicurato alla ruota. L'abbiamo ritrovata ululante qualche secondo dopo, come la più bizzarra impiccata al contrario della storia. No, non è stato un bello spettacolo.
Un'altra ha cominciato a snocciolare un rosario così forte che ho avuto paura che le perline prendessero fuoco per l'attrito.
Nel reparto c'era un delizioso odore di campo coltivato (a buon intenditor...). Una delle signore che stavano guardando la televisione nel soggiorno, che già mi aveva dato l'idea di esserci poco con la testa, ha cominciato a dondolare sulla sedia a rotelle peggio di Rain Man quando non vuole salire sull'aereo con Tom Cruise. Mi sono dovuta lanciare a pelle d'orso per bloccarle entrambe le ruote, prima che facesse un giro della morte nel senso letterale della parola.
Nel frattempo, Lupin (ve lo ricordate?) gironzolava bello allegro per il reparto, andando a mettere scompiglio nelle stanze delle poche signore che non avevano ancora ben capito l'accaduto. Se non me lo dimettono entro breve, giuro che quel tizio prima o poi fa una brutta fine.


Insomma, piano piano, la crisi è passata. Abbiamo rimesso a posto i pazienti evasi dai letti, abbiamo calmato gli ansiosi, dato da bere agli assetati e via discorrendo. Poi, prima di ricominciare il giro, mi è preso lo scrupolo di fare una piccola ricognizione per vedere che non ci fosse sfuggito qualcosa... che so, qualcuno che si era buttato dalla finestra, o che aveva approfittato della confusione per impiccarsi alle sbarre del letto. Per dire.
Ad un certo punto, sono capitata davanti alla stanza del Professore (che potete trovare qua). Stava lì seduto sul letto, dritto come un fuso, a fare le parole crociate. In un impeto di buon cuore, mi sono affacciata dallo stipite della porta per sincerarmi che non fosse spaventato.


"Professore!" l'ho apostrofato. "Ha sentito che c'è stato il terremoto?"
Quello ha alzato lentamente la testa e mi ha guardato.
"Chemmefrega a me del terremoto. Tanto io devo morire."
Tiè. La prossima volta imparo a farmi i fatti miei.

2 commenti:

  1. No, vabbè!
    Il professore ha le carte in regolare per riempire uno degli ultimi posti vuoti nella lista dei miei idoli...

    Ho appena visto una puntata di Dexter in cui l'infermiera collezionava una serie di morti per overdose da morfina. Facciamo che non te l'ho mai detto.

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